Nato nel lontano 2010, Lettera43 è una delle tante e longeve testate giornalistiche online presenti nel nostro Paese, alla presentazione era diretto da Paolo Madron, ex giornalista del Sole 24 Ore ed il nome del sito è sempre stato un “mix” la Lettera 22, macchina da scrivere Olivetti utilizzata da tanti giornalisti, e il 2043, anno in cui, secondo la “profezia” di Philip Meyer, verrà stampata l’ultima copia cartacea del New York Times.
A dieci anni di distanza e con alterne vicende con stati d’agitazione della redazione per via della situazione negli anni accumulata, questa mattina il Cdr della testata (edita da News 3.0 proprietaria anche di Lettera Donna) ha annunciato una tre giorni di sciopero, le cui motivazioni sono riassunte nella lettera pubblicata sul sito e che hanno origine dalla decisione di aprire una procedura di richiesta della Cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per riorganizzazione aziendale.
Secondo il Comitato di redazione si tratta di «un provvedimento pronto a colpire otto giornalisti sugli attuali 14 assunti, che con le dimissioni di un altro lavoratore ridurrebbero l’organico a sole cinque unità»
«La redazione considera gravissime e sproporzionate le misure, che tra l’altro non sono stato oggetto di discussione o trattativa con l’azienda per cercare eventuali alternative possibili. In gioco, oltre al posto dei giornalisti, c’è anche la sopravvivenza delle testate Lettera43.it e LetteraDonna.it che dopo anni di lavoro vengono così di fatto smantellate o chiuse».
La redazione, già in stato di agitazione da mesi dopo la richiesta mai soddisfatta di ottenere un piano editoriale, ha condannato la decisione presa dall’azienda, che nelle figure del direttore e dell’amministratore delegato non hanno «avuto neanche la decenza di comunicare direttamente ai redattori l’avvento della Cigs».
L’azienda da parte sua ha risposto di prendere atto del comunicato della redazione non condividendone tuttavia l’analisi e soprattutto le conseguenze adombrate sul futuro della casa editrice «anzi, il ricorso alla cassa integrazione a fronte del progressivo deterioramento del settore è un modo per assicurarne la continuità. Ricordiamo alla redazione che ne suoi oramai dieci anni di vita questa azienda non è mai ricorsa a nessun ammortizzatore, caso forse unico nel panorama editoriale italiano, né ha goduto di finanziamenti pubblici. Il comunicato della redazione, nei toni e nella strumentalità delle accuse, preclude evidentemente qualsiasi forma di dialogo» ha poi concluso l’azienda.