Italiani e lavoro da remoto: il sovraccarico di informazioni è la vera sfida

Il lavoro da remoto è una sfida: fonte di stress

Il lavoro da remoto (noi erroneamente continuiamo a chiamarlo smart working ndr.) è diventato un leitmotiv destinato a scrivere ancora molte pagine del futuro del lavoro, in uno scenario economico, sociale e sanitario che riserva tuttora grandi sfide da affrontare. Questa modalità ha bisogno di spazi fisici, ritagliati cambiando la destinazione d’uso delle stanze di casa quando possibile, oppure semplicemente adattando gli ambienti domestici a postazioni di lavoro per le call. Ma non solo, il lavoro da remoto pone negli italiani anche un enorme sovraccarico di informazioni: è quanto emerge da una ricerca condotta da OpenText per indagare come i professionisti stiano affrontando una quotidianità lavorativa ridefinita dalla pandemia da COVID-19.

I dati emersi dall’indagine rivelano che per il 31% degli italiani ritengono di non disporre di strumenti tecnologici e digitali adatti per svolgere le proprie mansioni da remoto, riscontrando difficoltà a gestire adeguatamente il cosiddetto tecnostress (solo il 15% degli intervistati si sente a proprio agio con il flusso di informazioni cui è sottoposto). Tra le maggiori fonti di tensione, le troppe password da ricordare (39%), l’eccessiva quantità di informazioni e dati da gestire tramite i diversi dispositivi (23%) e i troppi tool da monitorare durante la giornata (22%).

A settembre scorso un’indagine InfoJobs mostrò invece come le call e video call siano ormai un’abitudine quotidiana del lavoratore “agile”: metà degli intervistati trascorre al telefono meno di un’ora, l’altra metà vi dedica tra una e tre ore al giorno (34,8%), con picchi di quattro ore e più (13,2%).

Il lavoro da remoto porta troppe informazioni

Il 74% degli italiani che hanno partecipato alla ricerca condotta da OpenText concordano sul fatto che le fonti da controllare ogni giorno siano aumentate negli ultimi 5 anni: dalle email alle notizie, dai social media ai server aziendali, tanto che quasi il 22% del campione utilizza in media più di 10 account ogni giorno (email, app, piattaforme di condivisione, ecc…).

I dati suggeriscono come questa infodemia abbia un impatto significativo sulla vita degli utenti: solo il 36% dei professionisti è in grado di limitare a 3 o meno il numero di risorse cui accedere per completare un progetto lavorativo. Nonostante questo, gli italiani hanno imparato ad essere veloci: 4 professionisti su 10 impiegano meno di 30 secondi per trovare file o informazioni specifici.

Gestire il lavoro

Se il lavoro da remoto (o lo smart working) fosse adottato a lungo termine, le difficoltà per gli italiani sarebbero di natura sia organizzativa, sia relazionale. A destare le maggiori preoccupazioni per quasi 2 professionisti su 10 sono l’accesso a sistemi e file aziendali, ma anche i metodi di condivisione delle informazioni con i colleghi (16%): oltre la metà (54%), infatti, ammette di aver condiviso file aziendali almeno una volta tramite tool personali – molto più di quanto accade ai colleghi spagnoli (22%), britannici (20%) o francesi (17%). A risentire degli effetti del lavoro da remoto prolungato, inoltre, anche la capacità di mantenere la collaborazione con i colleghi (20%) e i giusti livelli di motivazione (19%).

“Una cattiva gestione delle informazioni può avere conseguenze importanti per un’azienda, in termini sia di produttività, sia di sicurezza” ha concluso Matera. “Quando i dati risiedono su sistemi diversi, sono necessari tempo e risorse per accedervi, e può accadere che la sicurezza venga messa in secondo piano dai tentativi di cercare soluzioni alternative per snellire i processi. Archiviazione e gestione manuale delle informazioni, inoltre, sono soggette a errori. Scegliendo soluzioni basate sull’automazione, le aziende possono sfruttare al meglio i propri dati e offrire un’esperienza utente ottimale a dipendenti, clienti e partner, soprattutto nel momento storico attuale.”

L’indagine è stata condotta tramite Google Surveys tra aprile e novembre 2020 per conto di OpenText, su un campione complessivo di 24.000 utenti di Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, India, Italia (2000), Regno Unito, Singapore, Spagna.

Photo by Chris Barbalis on Unsplash

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