425 intervistati in un questionario che fotografa, come prevedibile, una situazione di grave difficoltà. Questo quanto emerso dal documento rilasciato sabato da AIAP, una indagine sull’emergenza economica dei professionisti della comunicazione visiva in conseguenza della pandemia da Covid-19.
L’indagine AIAP mostra una mancanza di vera programmazione capace di rispondere a condizioni di lavoro repentinamente mutate. Una mancanza di previsione che ha origini diverse e potremmo dire di sistema.
La mancanza di programmazione di uno Stato che ha delegato al mondo delle imprese tutte le tutele possibili a favore dei lavoratori non accorgendosi che ormai in Italia buona parte della forza economica che manda avanti il Paese non è più quella del lavoro stabilizzato ma ‘fluido’. Una mancanza che si aggrava in modo preoccupante se poi la fotografia la circoscriviamo al mondo del design della comunicazione visiva, in questo caso si può proprio parlare di una assenza di tutele e riconoscimento che non possono esistere in una società in cui questo lavoro è ormai al centro di buona parte delle economie in tutto il mondo.
L’indagine sull’emergenza economica dei professionisti della comunicazione visiva ha inoltre evidenziato una mancanza di programmazione da parte dei professionisti stessi. Se da un lato emergono grandi capacità professionali, una grande dinamicità nel rispondere alle domande della committenza, non altrettanto appare nella pianificazione amministrativa, finanziaria e fiscale.
Rispetto al numero di intervistati il numero di dipendenti in cassa integrazione sembra basso, ma è solo rivelatore di quanto la condizione di designer che lavorano da soli o con strutture ‘fluide’ sia ancora largamente prevalente.
Allo stesso modo il consistente calo di commesse rivela come in questo momento storico, forse più di altri momenti passato, la condizione in cui operano molti designer della comunicazione sia sussidiaria e purtroppo ‘passiva’ rispetto alla complessa struttura economica in cui opera il marcato e, nella maggior parte dei casi, ancor incapace o impossibilitata ad autodeterminarsi o salire la ‘scala’ della catena decisionale.
In sostanza si eliminano facilmente budget dedicati alla comunicazione perché ancora non considerati centrali nella possibilità di risoluzione di situazioni di crisi per gran parte delle imprese italiane. Un punto questo da approfondire in un prossimo futuro per capire se questo avviene perché i servizi offerti dai designer non si sono evoluti o perché tra gli imprenditori non è ancora maturata una diversa capacità di interpretare il proprio ruolo in modo evoluto.
C’è una forte richiesta di servizi digitali evoluti, ovviamente si cercano connessioni stabili ed efficienti e, in momenti emergenziali, anche gratuiti, ma più di questo emerge una grande aspettativa affinché piattaforme digitali dedicate possano aiutare l’incrocio di domanda e offerta tra committenti e progettisti. Sembra in definitiva che sia maturata la consapevolezza di poter lavorare anche senza l’occupazione di un luogo di lavoro ‘ufficiale’, lo studio insomma, molti si dicono favorevoli allo home working, ma c’è forte l’esigenza che questa non diventi una condizione di isolamento.
Emergenza economica dei professionisti della comunicazione visiva
Il dato generale rilevato da AIAP (qui l’indagine completa) ritrae una totale mancanza di tutele e di riconoscimento che molti designer hanno trovato nel cercare strumenti di reazione adatti a una situazione di emergenza non prevista. Questo sconcerto emerge da una risposta su tutte, quell’80% di partecipanti che si è detto spaventato da una riduzione del lavoro e non certezza delle entrate, tali da mettere in gioco la possibilità di provvedere ai propri bisogni e quelli della famiglia.
Il governo italiano ha già varato molte misure a sostegno anche delle partite Iva, purtroppo largamente insufficienti in base alle risposte del campione intervistato. La condizione di lavoro della maggior parte dei designer si finanzia con il lavoro stesso. Una repentina assenza di commesse corrisponde quasi automaticamente a una immediata emergenza finanziaria. Banalmente manca di che vivere.
Un contributo unico di 600€ è quindi largamente insufficiente, c’è l’esigenza di recuperare liquidità anche grazie a un totale rinvio degli obblighi fiscali e contributivi per potersi finanziare con la ripresa dei primi lavori post chiusura.