Avrebbero potuto realizzare una lunga intervista, seduti dietro una rassicurante scrivania. E invece la giornalista Porzia Bergamasco e il regista Gianluca Migliarotti hanno scelto un rischioso cinema verité, come non si vedeva da un po’ di anni, seguendo e rincorrendo l’opera di Lino Sabattini, nei luoghi e nelle parole del protagonista.
Il rischio, vista la franchezza del “personaggio” Sabattini era messo in conto, ma forse non il pathos e una involontaria commozione che prende lo spettatore, ascoltando le parole di un designer-artigiano che ha saputo creare pezzi da museo e, con la tipica umiltà dei grandi, ha collaborato alla realizzazione di oggetti firmati dai più grandi designer internazionali: da “Gio Ponti”:http://it.wikipedia.org/wiki/Gio_Ponti a Bruno Munari e Joe Colombo.
Il percorso professionale di Sabattini inizia in una bottega per la lavorazione del metallo a Blevio sul lago di Como, durante la seconda guerra mondiale. Trova dapprima nell’incontro con Rolando Hettner la ragione della creatività e dopo, in Gio Ponti, il suo maestro. Una lunga collaborazione e una grande amicizia iniziata negli anni Cinquanta. Il vassoio esagonale “Architettura”, le posate “Flèche”, il vaso “Stivale”… sono tante le forme nate nella mente di Ponti e trasformate in oggetti grazie ai prototipi di Sabattini.
Il debutto personale è nel 1956, con il servizio “Como” presentato alla mostra di Parigi “Formes et idée d’Italie”. In quegli anni la vicinanza con Ponti crea il legame con il produttore francese di argenti Christofle, del cui Atelier di Milano è direttore artistico fino al 1963.
Per Cassina, con la consulenza di Filippo Alison, reinterpreta oggetti di Charles Rennie Mackintosh. E’ amico e collabora con Bruno Munari e Joe Colombo, per i cui allestimenti della zona ricreativa in Triennale, crea una zuccheriera.
Nel 1964 fonda a Bregnano una sua azienda omonima che imposta in modo innovativo: apre le porte a stagisti di tutto il mondo, che possono anche soggiornare lì, e mette a punto una speciale lavorazione del metallo. Una lega metallica lucida (70% rame e 30% zinco) che non perde mai di lucentezza, e va contro la tradizione dell’argento, democratizzandolo. E soprattutto propone una nuova “Arte in Tavola” che rompe con la tradizione e con il passato con oggetti di artigianato artistico di pregio a tiratura limitata, che rispondono alle richieste della funzione attraverso quelle della materia.
Migliarotti e Bergamasco per “questo film”:http://www.linosabattinithemovie.com hanno lasciato correre i ricordi di Sabattini ma hanno anche fermato l’attenzione lì dove alcuni inediti venivano svelati, lasciandosi aiutare dalla corposa ricerca iconografica e dalla bella colonna sonora.
Il film “Lino Sabattini” è insomma la prova che si può parlare di design non solo con competenza intellettuale e immagini patinate, ma anche con passione e visionarietà interdisciplinari.
Infine, il documentario ha vinto il “Premio Asolo per il Miglior Film sul Design” alla 29esima edizione di AsoloArtFilmFestival 2010.